cucina,ricette La Cucina Economica: Pellegrino Artusi, cappelletti e tortellini in brodo

venerdì 20 dicembre 2013

Pellegrino Artusi, cappelletti e tortellini in brodo


Pellegrino Artusi , cappelletti e tortellini in brodo. Una volta si diceva che la minestra era la biada dell'uomo; oggi i medici consigliano di mangiarne poca per non dilatare troppo lo stomaco e per lasciare la prevalenza al nutrimento carneo, il quale rinforza la fibra,


mentre i farinacei, di cui le minestre ordinariamente si compongono, risolvendosi in tessuto adiposo, la rilassano. A questa teoria non contraddico: ma se mi fosse permessa un'osservazione, direi: Poca minestra a chi non trovandosi nella pienezza delle sue forze, né in perfetta salute, ha bisogno di un trattamento speciale; poca minestra a coloro che avendo tendenza alla pinguedine ne vogliono rattener lo sviluppo; poca minestra, e leggiera, ne' pranzi di parata se i commensali devono far onore alle varie pietanze che le vengono appresso; ma all'infuori di questi casi una buona e generosa minestra per chi ha uno scarso desinare sarà sempre la benvenuta, e però fatele festa. Penetrato da questa ragione mi farò un dovere d'indicare tutte quelle minestre che via via l'esperienza mi verrà suggerendo.I piselli del n. 427 possono dar sapore e grazia, come tutti sanno, alle minestre in brodo di riso, pastine e malfattini; ma si prestano ancora meglio per improvvisare, se manca il brodo, il risotto del n. 75.

7  CAPPELLETTI ALL'USO DI ROMAGNA

Sono così chiamati per la loro forma a cappello. Ecco il modo più semplice di farli onde riescano meno gravi allo stomaco.
Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi 180.
Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine fine colla lunetta.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, uno intero e un rosso.
Odore di noce moscata, poche spezie, scorza di limone a chi piace.
Un pizzico di sale.

Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché gl'ingredienti non corrispondono sempre a un modo. Mancando il petto di cappone, supplite con grammi 100 di magro di maiale nella lombata, cotto e condizionato nella stessa maniera.
Se la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara d'uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo. Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova servendovi anche di qualche chiara rimasta, e tagliatela con un disco rotondo della grandezza come quello segnato [figura01]. Ponete il composto in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito.
Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell'acqua, gli orli dei dischi. Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini. Cuocete dunque i cappelletti nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c'è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine.
A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere.
Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su' libri i signori di Romagna non ne vogliono saper buccicata, forse perché fino dall'infanzia i figli si avvezzano a vedere i genitori a tutt'altro intenti che a sfogliar libri e fors'anche perché, essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull'imbraca, e avete un bel tirare per la cavezza ché non si muovono. Fino a questo punto arrivarono col figlio Carlino, marito e moglie, in un villaggio della bassa Romagna; ma il padre che la pretendeva a progressista, benché potesse lasciare il figliolo a sufficienza provvisto avrebbe pur desiderato di farne un avvocato e, chi sa, fors'anche un deputato, perché da quello a questo è breve il passo. Dopo molti discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di pianto. Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe:
- Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto! - Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all'uscio di strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo alla sala.
- Oh! cavallo di ritorno, esclama il babbo, cos'è stato? - È stato, risponde Carlino, che il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a pezzi piuttosto che ritornare in quella galera. - La buona mamma gongolante di gioia corse ad abbracciare il figliolo e rivolta al marito: - Lascialo fare, disse, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che occuparsi co' suoi interessi. - Infatti, d'allora in poi gl'interessi di Carlino furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un bel baroccino e continui assalti alle giovani contadine.

8  TORTELLINI ALL'ITALIANA (AGNELLOTTI)

Braciole di maiale nella lombata, circa grammi 300.
Un cervello di agnello o mezzo di bestia più grossa.
Midollo di bue, grammi 50.
Parmigiano grattato, grammi 50.
Rossi d'uovo n. 3 e, al bisogno, aggiungete una chiara.
Odore di noce moscata.

Disossate e digrassate le braciole di maiale, e poi tiratele a cottura in una casseruola con burro, sale e una presina di pepe. In mancanza del maiale può servire il magro del petto di tacchino nella proporzione di grammi 200, cotto nella stessa maniera. Pestate o tritate finissima la carne con la lunetta; poi unite alla medesima il cervello lessato e spellato, il midollo crudo e tutti gli altri ingredienti, mescolandoli bene insieme. Quindi i tortellini si chiudono in una sfoglia come i cappelletti e si ripiegano nella stessa guisa, se non che questi si fanno assai più piccoli. Ecco, per norma, il loro disco [figura02].


9  TORTELLINI ALLA BOLOGNESE

Quando sentite parlare della cucina bolognese fate una riverenza, ché se la merita. È un modo di cucinare un po' grave, se vogliamo, perché il clima così richiede; ma succulento, di buon gusto e salubre, tanto è vero che colà le longevità di ottanta e novant'anni sono più comuni che altrove. I seguenti tortellini, benché più semplici e meno dispendiosi degli antecedenti, non sono per bontà inferiori, e ve ne convincerete alla prova.

Prosciutto grasso e magro, grammi 30.
Mortadella di Bologna, grammi 20.
Midollo di bue, grammi 60.
Parmigiano grattato, grammi 60.
Uova, n. 1.
Odore di noce moscata.
Sale e pepe, niente.

Tritate ben fini colla lunetta il prosciutto e la mortadella, tritate egualmente il midollo senza disfarlo al fuoco, aggiungetelo agli altri ingredienti ed intridete il tutto coll'uovo mescolando bene. Si chiudono nella sfoglia d'uovo come gli altri, tagliandola col piccolo stampo del n. 8. Non patiscono conservandoli per giorni ed anche per qualche settimana e se desiderate che conservino un bel color giallo metteteli, appena fatti, ad asciugare nella caldana. Con questa dose ne farete poco meno di 300, e ci vorrà una sfoglia di tre uova.
Bologna è un gran castellazzo dove si fanno continue magnazze, diceva un tale che a quando a quando colà si recava a banchettare cogli amici. Nell'iperbole di questa sentenza c'è un fondo di vero, del quale, un filantropo che vagheggiasse di legare il suo nome a un'opera di beneficenza nuova in Italia, potrebbe giovarsi. Parlo di un Istituto culinario, ossia scuola di cucina a cui Bologna si presterebbe più di qualunque altra città pei suo grande consumo, per l'eccellenza dei cibi e pel modo di cucinarli. Nessuno apparentemente vuol dare importanza al mangiare, e la ragione è facile a comprendersi: ma poi, messa da parte l'ipocrisia, tutti si lagnano di un desinare cattivo o di una indigestione per cibi mal preparati. La nutrizione essendo il primo bisogno della vita, è cosa ragionevole l'occuparsene per soddisfarlo meno peggio che sia possibile.
Uno scrittore straniero dice: "La salute, la morale, le gioie della famiglia si collegano colla cucina, quindi sarebbe ottima cosa che ogni donna, popolana o signora, conoscesse un'arte che è feconda di benessere, di salute, di ricchezza e di pace alla famiglia"; e il nostro Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini) in una conferenza tenuta all'Esposizione di Torino il 21 giugno 1884 diceva: "È necessario che cessi il pregiudizio che accusa di volgarità la cucina, poiché non è volgare quel che serve ad una voluttà intelligente ed elegante. Un produttore di vini che manipola l'uva e qualche volta il campeggio per cavarne una bevanda grata, è accarezzato, invidiato e fatto commendatore. Un cuoco che manipola anch'esso la materia prima per ottenerne un cibo piacevole, nonché onorato e stimato, non è nemmeno ammesso in anticamera. Bacco è figlio di Giove, Como (il Dio delle mense) di ignoti genitori. Eppure il savio dice: Dimmi quel che tu mangi e ti dirò chi sei. Eppure i popoli stessi hanno una indole loro, forte o vile, grande o miserabile, in gran parte dagli alimenti che usano. Non c'è dunque giustizia distributiva. Bisogna riabilitare la cucina".
Dico dunque che il mio Istituto dovrebbe servire per allevare delle giovani cuoche le quali, naturalmente più economiche degli uomini e di minore dispendio, troverebbero facile impiego e possederebbero un'arte, che portata nelle case borghesi, sarebbe un farmaco alle tante arrabbiature che spesso avvengono nelle famiglie a cagione di un pessimo desinare; e perché ciò non accada sento che una giudiziosa signora, di una città toscana, ha fatto ingrandire la sua troppo piccola cucina per aver più agio a divertirsi col mio libro alla mano.
Ho lasciato cader questa idea così in embrione ed informe; la raccatti altri, la svolga e ne faccia suo pro qualora creda l'opera meritoria. Io sono d'avviso che una simile istituzione ben diretta, accettante le ordinazioni dei privati e vendendo le pietanze già cucinate, si potrebbe impiantare, condurre e far prosperare con un capitale e con una spesa relativamente piccoli.
Se vorrete i tortellini anche più gentili aggiungete alla presente ricetta un mezzo petto di cappone cotto nel burro, un rosso d'uovo e la buona misura di tutto il resto.

10  TORTELLINI DI CARNE DI PICCIONE

Questi tortellini merita il conto ve li descriva, perché riescono eccellenti nella loro semplicità.
Prendete un piccione giovane e, dato che sia bell'e pelato del peso di mezzo chilogrammo all'incirca, corredatelo con

Parmigiano grattato, grammi 80.
Prosciutto grasso e magro, grammi 70.
Odore di noce moscata.

Vuotate il piccione dalle interiora, ché il fegatino e il ventriglio non servono in questo caso, e lessatelo. Per lessarlo gettatelo nell'acqua quando bolle e salatela; mezz'ora di bollitura è sufficiente, perché dev'essere poco cotto. Tolto dal fuoco disossatelo, poi tanto questa carne che il prosciutto tritateli finissimi prima col coltello indi colla lunetta, e per ultimo, aggiuntovi il parmigiano e la noce moscata, lavorate il composto con la lama del coltello per ridurlo tutto omogeneo.
Per chiuderli servitevi del disco n. 8, e con tre uova di sfoglia ne otterrete 260 circa. Potete servirli in brodo, per minestra, oppure asciutti conditi con cacio e burro, o meglio con sugo e rigaglie.


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